Ep. 25 - Will Hunting, genio ribelle

Ogni mese un articolo per trattare da vicino proprio quelle questioni che riguardano i ragazzi ma che sono così difficili da esprimere a parole, quelle questioni che sembrano impossibili da spiegare. 

La rubrica ALL YOU NEED IS FREUD nasce dal desiderio di parlare di psicologia a giovani fruitori, attraverso l'analisi di serie tv, film e canzoni contemporanee.

 

Will Hunting, genio ribelle

Questo bellissimo film del 1997 narra la storia di Will Hunting, un ventenne che fa le pulizie all'università con dei piccoli precedenti penali e con un talento nascosto per la matematica. Un giorno, mentre lava i pavimenti della facoltà di matematica, trova alla lavagna un esercizio molto difficile che riesce a risolvere. Il professore, stupito dall'accaduto, decide di sfidare nuovamente questo presunto studente misterioso lasciando sulla lavagna un altro esercizio difficilissimo. Will lo porta a termine e il professore, affascinato dal talento di questo ragazzo, gli propone di seguire le lezioni e di intraprendere una psicoterapia. L'incontro con lo psicologo, che lo aiuta ad incontrare se stesso, gli cambierà la vita. 

Nelle storie che ascoltiamo in Dedalus e allo sportello d'ascolto PsyinBo spesso i ragazzi ci raccontano questioni riguardanti due aspetti presenti nel film: il talento e l'amore.

 

ESSERE SPETTATORI DELLA PROPRIA VITA

Nel film c'è un monologo in cui Sean, lo psicologo, sottolinea a Will quanto lui, pur conoscendo perfettamente tutto quello che c'è scritto nei libri, non abbia esperienza di niente: non conosce una ragazza, non ha mai viaggiato, non rischia, non si sporca le mani.
Anche ai ragazzi che ascoltiamo allo sportello accade di sentirsi rigidi e fermi sulle proprie certezze: è un modo di difendersi dalla vita. Nel “so già tutto e non ci provo” è racchiusa la scelta di rinunciare a vivere, di stare corazzati, di non sognare.
Perché un ragazzo preferisce stare chiuso nella sua stanza e rimanere spettatore piuttosto che essere protagonista della propria vita? 
Uscire dal proprio guscio implica essere disposti a confrontarsi con se stessi e con gli altri e, di conseguenza, esporsi al successo o al fallimento: questo può essere motivo di grandi paure. In psicoanalisi, comprendere i propri limiti vuol dire saperci fare con la castrazione e, in altri termini, accettare cose come: aver sbagliato la propria strada, arrivare ad ammettere di non sapere cosa si voglia o, ancora, smettere di giocare con il proprio talento sprecandolo e sminuendolo così come dice nel film il migliore amico a Will: “Tu sei seduto su un biglietto della lotteria, ma sei troppo smidollato per incassarlo. […] farei qualsiasi cosa per avere quello che hai tu, e lo farebbero anche gli altri ragazzi.” 

 

LA PERFEZIONE NON ESISTE

Aprirsi all'altro fa paura, innamorarsi vuol dire diventare vulnerabili, non conoscere in anteprima l'esito della storia. Lacan diceva che “amare è dare quello che non si ha” e, come si evince anche dal film, sono proprio le mancanze che danno al protagonista la possibilità di amare e di essere amato. È molto più semplice essere belli, forti, prestanti; stare nell'amore implica il rischio di dire o fare la cosa sbagliata, di non essere più amati, di perdere tutto. 

Will: questa ragazza, insomma, è bellissima, intelligente, divertente. È diversa dalle altre con cui sono stato.
Sean: E allora chiamala, Romeo.
Will: Così mi rendo conto che non è poi tanto intelligente? Che mi rompe i coglioni? Sì, insomma, ecco, questa ragazza, cazzo! è perfetta ora; non voglio rovinare questo.
Sean: Forse tu sei perfetto ora. Forse è questo che non vuoi rovinare. Questa la chiamerei una “super filosofia”, Will, così puoi in effetti passare tutta la vita senza dover conoscere veramente qualcuno… 

 

I RAGAZZI SONO DISPOSTI A RISCHIARE L'AMORE?

Sono proprio questi i temi per cui si chiede aiuto, quando si vive sulla propria pelle la precarietà dell'incontro con l'altro. La pandemia ha mostrato ancora di più questa insicurezza nelle relazioni e l'effetto su alcuni ragazzi  è stato quello di chiudersi mettendo in questa maniera al sicuro i propri sentimenti, ad altri, invece, ha permesso di riaprirsi al mondo trovandosi però completamente scoperti, incapaci, fragili.
In entrambi i casi, i ragazzi mostrano dei sintomi, delle sofferenze che li porta a domandare aiuto e chiedere:  “la presenza o assenza dell'altro perché mi fa stare cosi male? Perché mi viene il panico? Perché non dormo? Perché mi sento così triste?”. È a causa della troppa assenza o presenza dell'altro che i ragazzi si angosciano e, sia nell'uno che nell'altro caso, il rischio è di perdere tutto.
La questione a questo punto è: come si fa a non perdere se stessi?