Suburbicon | Festival di Venezia 2017

di George Clooney - USA, 104' | Scheda del film
con Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe, Oscar Isaac

https://www.youtube.com/watch?v=IYga2m0V2O0


Chi è l’autore di Suburbicon, in concorso quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia? Il regista è George Clooney, ma sembra piuttosto un film dei fratelli Coen. Che, in effetti, lo hanno scritto. Lo hanno scritto negli anni ’90, quando dovevano dirigerlo loro con Clooney in un ruolo secondario. Del progetto non se ne fece nulla, e una ventina d’anni dopo è passato nelle mani dell’ex star di E.R.. Ma il film è ancora in tutto e per tutto un film dei Coen, percorso com’è da quell’umorismo nero che prende di mira la società statunitense e dal loro gusto ironico per la violenza.

In effetti, la storia del cinema è ricca di film considerati a pieno titolo opere di qualcuno che il regista non è. L’esempio più chiaro è Nightmare before Christmas, indubbiamente un film di Tim Burton, tant’è che il titolo completo è proprio Tim Burton’s Nightmare before Christmas. E chi è il regista? Henry Selick, anche se quasi nessuno se lo ricorda. Tim Burton lo ha pensato, scritto e prodotto, ma non lo ha diretto. Eppure sarebbe scorretto non considerarlo parte del suo cinema. Noi siamo abituati a pensare che l’autore di un film sia il regista e nessun’altro dei tanti che vi hanno lavorato, e questo avviene per due ragioni: perché siamo italiani (o anche più generalmente europei), e perché siamo venuti dopo André Bazin.

Per mezzo secolo negli Stati Uniti l’autore del film era sempre considerato il produttore, e non di rado anche gli sceneggiatori potevano godere di maggiore riconoscimento dei registi. Questi erano mestieranti, il cui compito era solo quello di far funzionare sul set tutto ciò che il produttore aveva preparato. Dopo l’ultimo ciak, era di nuovo la casa di produzione a prendere in mano il girato e montarlo secondo i propri voleri, sul quale solo raramente il regista poteva dire qualcosa. Poi, negli anni ’50, un critico francese notò che alcuni registi sembravano riproporre nei loro film sempre simili istanze artistiche. Nasce così la teoria degli autori, anticipata da Bazin e sviluppata sulle pagine dei Cahiers du Cinéma dai suoi migliori allievi: Truffaut, Godard, Rohmer, Rivette e tutti i futuri protagonisti dell’imminente nouvelle vague.

suburbicon


Secondo la loro visione di cinema, l’unico autore di un film poteva e doveva essere il regista. In Europa effettivamente i registi godevano di una maggiore libertà rispetto ai colleghi statunitensi, ma da quel momento anche in America qualcuno riuscì a ritagliarsi un proprio spazio di autorialità, e da questa spinta nacque la New Hollywood, una nuova epoca nella più grande industria cinematografica del mondo. Sebbene siano ancora molti i contesti produttivi in cui il regista non può essere considerato nulla più del “capomastro” del set, oggi siamo portati a credere che sia inevitabilmente lui l’autore. Davanti a certi film, però, questa idea non può che essere messa in crisi, proprio come nel caso di Suburbicon.

Può tornare utile allora guardare l’opera di Clooney regista, per capire quanto possa averci messo del suo. Finora aveva ottenuto i risultati migliori con il thriller politico: Confessioni di una mente pericolosa, Good night, and Good Luck. e Le idi di Marzo. Quando aveva tentato la strada della commedia (sentimentale con In amore niente regole e di guerra con Monuments Men), invece, aveva mostrato grosse difficoltà. Con Suburbicon, invece, è riuscito a realizzare una perfetta commedia (nerissima), dimostrando anche di saper gestire alla perfezione i tempi comici. Quello che Clooney ha dimostrato in tutta la sua filmografia precedente, è di avere un ottimo occhio e di sapere gestire tutte le componenti che rendono godibile un film: il ritmo, le interpretazioni, la costruzione dei personaggi. I problemi delle sue opere meno riuscite sembrano risiedere nelle sceneggiature. Come tutti i grandi mestieranti di Hollywood, Clooney ha bisogno di buon materiale su cui lavorare. Un progetto promettente sa come farlo funzionare a livello filmico, ma ha appunto bisogno di partire da qualcosa di già valido, altrimenti non ha probabilmente il genio per salvare progetti fallimentari.

suburbicon

Questa non vuole essere una critica: i registi di alcuni capolavori hanno dimostrato nel corso delle loro carriere di essere molto più vicini a un’idea artigianale di cinema, che di autorialità. Un ottimo esempio è Ridley Scott, capace di realizzare una pietra miliare della fantascienza come Blade Runner e un film di rara bruttezza come Soldato Jane. Si tratta di un modo diverso di fare cinema, che è spocchioso ritenere inferiore. Senza alcuna distinzione qualitativa, autore è chi riesce a imprimere il proprio marchio a un’opera anche se non l’ha creata con le proprie mani: Burton con Nightmare before Christmas, appunto. Ma anche i fratelli Coen, che hanno fatto un film dei fratelli Coen affidandolo a un regista capace come Clooney. E Clooney, che dopo cinque film ha ormai appreso a fondo il mestiere, è stato capace di tirar fuori, dall’ennesima sceneggiatura geniale dei fratelli newyorkesi, un ottimo film, tanto brutale quanto divertente, che porta alle estreme conseguenze la cattiveria coeniana, e rende più esplicito il contenuto politico, con riferimenti tutt’altro che velati all’attualità.

È soprattutto in quest’ultimo aspetto che un po’ si lascia intravedere la presenza di Clooney. Non che i Coen siano apolitici, tutt’altro, ma la loro è una critica sociale meno legata all’attualità. Clooney invece porta sullo schermo i problemi vivi e presenti degli Stati Uniti, come accadeva in tutti i suoi thriller. Qui mette a nudo i rischi della società trumpiana, attraverso la storia del disfacimento di una piccola comunità ideale dal momento in cui vi si trasferisce una coppia di colore. È da quel momento che tutti i personaggi iniziano a rivelare, uno dopo l’altro, la loro orrenda natura razzista e violenta, in una doppia narrazione che corre su due diversi binari, portando però avanti le stesse riflessioni.

Rispetto a quelli dei Coen, però, i personaggi di Clooney non hanno nemmeno quell’ottusità che rende la loro malvagità così grottesca da impietosire il pubblico; non che brillino per intelligenza, tutt’altro, ma la loro è una stupidità di cui è più difficile ridere, vera origine del male che corrode la città di Suburbicon, e gli Stati Uniti. L’unico vero difetto del film sta nell’ultima inquadratura, non tanto per lo spiraglio di speranza che lascia (scelta legittima), ma perché lo fa in maniera fin troppo didascalica, sciupando un po’ la forza del finale. Ma anche questo, in fondo, è un piccolo segno lasciato da Clooney su Suburbicon (confrontatelo con il finale apocalittico di A Serious Man), un ottimo film, profondamente coeniano ma diretto con grandissima competenza da Clooney. Premio per la sceneggiatura in vista?


Scritto da Marcello Bonini


Leggi le altre recensioni dei film in concorso al Festival di Venezia.