Ragazze cattive dell'autrice coreana Ancco fa parte del progetto culturale contro le discriminazioni Dalla parte delle bambine, curato da Canicola e in cui rientra anche il fumetto Io sono Mare di Cristina Portolano, che abbiamo intervistato in occasione della sua mostra al Mambo (aperta fino al 2 dicembre). Cristina inoltre, insieme ad altre illustratrici, ha realizzato alcuni disegni per omaggiare l'opera di Ancco, riportati nella gallery.
Il libro di Ancco ripercorre il quadro oscuro e brutale dell’adolescenza coreana negli anni Novanta, tra soprusi di violenza in un periodo di forte crisi economica e morale del paese. In occasione del Festival La violenza illustrata di Bologna (7 novembre/4 dicembre 2018) e del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ecco una sintesi dell'incontro pubblico tra Ancco e le ragazze e i ragazzi dell’Istituto professionale Aldrovandi a Bologna.
- Da dove viene il nome Ancco?
Il mio vero nome è Choi Kyung Jin, quando ho deciso di usare Ancco non sapevo che sarei diventata nota con questo nome. Da piccola mia sorella studiava cinese e ripeteva continuamente “ancco” che significa “assurdità”. Il suono mi piaceva e così adottai questa parola come nome. Qualche anno dopo un editor cinese mi ha detto che “ancco” non esiste nella sua lingua… il nome non è nato quindi da un significato, ma dall’entusiasmo che ho provato nel sentire questa parola.
- Come sei diventata fumettista?
Ho sempre disegnato, soprattutto la mia quotidianità, affiancando il disegno alla scrittura. Nel tempo ho creato dei veri diari, che colleziono da quando avevo nove anni, e la cosa divertente era farli leggere ai miei amici e vederli ridere. A quel tempo andavano in voga i manga e i cartoni animati giapponesi con occhi grandi e viso occidentalizzato, mentre io disegnavo cose “strane”, totalmente diverse, forse è stato questo ad affascinarli. Mi sono poi iscritta a una scuola di fumetto in Corea dove ho iniziato a lavorare più seriamente e ho proposto i miei diari a una società di webcomics molto importante in Corea. Ho lavorato ai webtoons per circa due o tre anni. È stato un periodo molto impegnativo: dovevo pubblicare tre volte a settimana, era quasi una schiavitù! Anche se i miei diari piacevano e venivano letti da molti lettori coreani non ero molto convinta di continuare con i webtoons. Un mio professore poi mi fece conoscere la casa editrice Sai Comics e così ho iniziato a collaborare con loro.
- Il libro parla di violenza su giovani donne, è una violenza sistemica: fa parte della quotidianità e viene accettata da chi la subisce. Le vittime non si percepiscono come vittime, per questo non riescono a venirne fuori e, dall’altra parte, il non sentirsi vittime dà la forza di continuare a vivere. Perché hai scelto di raccontare la tua esperienza di violenza? C’è una dimensione di genere?
Non ho scelto la mia storia personale, è venuta fuori dal disegno. Volevo raccontare una storia che sentivo nel mio cuore. Inizialmente i miei ricordi adolescenziali erano divertenti, quindi dovevo realizzare un fumetto comico, ma col tempo è cambiata totalmente la mia percezione degli eventi passati e l’impostazione del fumetto. Non volevo rappresentare una violenza nello specifico, volevo raccontare dei giovani che vivono situazioni di violenza di cui è difficile parlare. Non vorrei che la violenza da me narrata venisse fraintesa come violenza di genere.
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Tu hai la capacità di raccontare le cose più tremende con grande naturalezza e senso di tragedia. Le ragazze del fumetto condividono un percorso di crescita e di rivendicazione della propria libertà, senza sentirsi delle vittime, ma riuscendo comunque a trovare anche dei momenti di felicità, condivisione e divertimento, al di là delle violenze subite. Perché hai deciso di far diventare l’amicizia l'elemento centrale del racconto e che ruolo ha nella società contro la violenza?
Il significato di amicizia per me è molto importante, per questo ho sottolineato questo legame nel libro. Volevo mostrare che con gli amici, qualsiasi cosa diventa bellissima. Frequento ancora le ragazze apparse del fumetto. Le ho conosciute quando avevo quattordici anni. Sono molto importanti per me, ho imparato moltissimo da loro e mi hanno insegnato a vivere.
- La prima cosa che emerge con potenza e inquietudine è il nero che pervade l’intero racconto. Che significato c’è dietro a questa scelta stilistica?
Il bianco e nero è adatto a riprodurre le immagini e le sensazioni della mia mente. Tramite questo fumetto volevo raccontare le mie emozioni, confuse, che non sapevo come spiegare se non attraverso il colore nero. Mentre lo facevo non mi rendevo conto di quanto fosse buio e scuro, ma non avevo altro modo per raccontare questa storia.
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Cosa hai provato quando hai finalmente pubblicato il libro? Il fumetto è stato un mezzo esorcizzante?
Appena consegnato il libro ero felicissima perché finalmente ero riuscita a raccontare tutto della mia storia, ho avuto la sensazione di aver chiuso un capitolo della mia vita e questo mi ha dato un senso di sollievo. Non avevo nulla da esorcizzare perché non sentivo dolore, provo affetto per quelle persone. Nella mia infanzia non vedo solo violenza e dolore ma momenti piacevoli e di allegria. Certo è che ho provato una grandissima gioia nel creare questo fumetto, mi ha arricchito moltissimo. Mi aspettavo la stessa reazione anche da parte dei miei genitori, ma inizialmente non è stato così. È stato tragico, ma ora loro mi appoggiano molto.
- In Europa questo libro sta ricevendo molte attenzioni. Il premio di Angoulême ti ha fatto apparire in modo diverso agli occhi dei coreani?
Il libro ha superato i confini nazionali, è stato pubblicato anche in Francia dove è stato premiato, ma c’è stato una sorta di distacco da parte dei francesi. Il premio di Angoulême è stato un riconoscimento molto importante, adesso ricevo molti apprezzamenti e il fumetto è stato valorizzato anche in Corea. Prima di questo premio il pubblico di massa coreano non riusciva a capire il mio lavoro. Sono rimasti in silenzio, non so se per imbarazzo, per via dello stile atipico del fumetto, oppure perché era talmente pregnante il dolore che non sono riusciti a rispondere, forse perché coinvolti in situazioni analoghe.
Ragazze cattive fa parte del progetto “Dalla parte delle bambine” curato da Canicola associazione culturale
che propone percorsi pedagogici volti alla diffusione di una cultura della non discriminazione.
Il progetto è sostenuto da: Comune di Bologna - Pari Opportunità e Tutela delle Differenze; Fondazione del
Monte di Bologna e Ravenna; Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna.
Per leggere l'intervista completa ad Ancco consulta www.fumettologica.it e www.minimaetmoralia.it
Sfoglia la gallery con le illustrazioni realizzate dalle autrici italiane per omaggiare il libro Ragazze cattive.