Ammore e malavita | Festival di Venezia 2017

dei Manetti Bros. - Italia, 134' | Scheda del film
con Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Claudia Gerini, Carlo Buccirosso

https://www.youtube.com/watch?v=9HMd5SGOUyE

 

Un gruppo di turisti a Napoli è in visita al luogo più celebre e celebrato della città: le vele di Scampia. E non appena una di loro viene rapinata, tutti iniziano a cantare la loro felicità per aver vissuto “l’esperienza turistica definitiva”. In questa sequenza esilarante, i Manetti Bros. ridono di quell’idea di Napoli che negli ultimi anni un certo cinema e una certa TV hanno spettacolarizzato, facendone oggetto di una nuova epopea sulla criminalità ormai di immenso successo, in Italia e in tutto il mondo (Gomorra, Narcos). Ma per farlo, loro, da sempre paladini di quella serie B che ha fatto da apripista a prodotti oggi celebrati, ne abbracciano tutti i cliché, realizzando con Ammore e malavita una strepitosa parodia-omaggio che è stata inaspettatamente selezionata per il concorso principale della 74° edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

È difficilissimo parlarne, perché è uno di quei film che vanno goduti, possibilmente sul grande schermo, lasciandosi trasportare dalle immagini e dai suoni senza stare tanto pensare a ciò che si sta vedendo. Non che sia un mero film d’intrattenimento senza nulla da dire, ma soffermarcisi troppo finirebbe per ostacolare il puro piacere della visione. Non solo della visione, ma anche dell’ascolto, perché la reintepretazione del modello di partenza viene fatta dai Manetti sulla scia del loro precedente Song’e Napule, vale a dire attraverso la musica, che qui diviene assoluta protagonista, rendendo il film un vero e proprio musical, l’altro genere fagocitato da Ammore e malavita. Tant’è che molti hanno chiamato in causa La La Land, che proprio a Venezia fece il suo debutto sugli schermi appena un anno fa. 

ll paragone però regge poco, perché Ammore e malavita è molto più vicino al gusto narrativo antirealistico di Bollywood che al raffinato onirismo del film di Damien Chazelle. Come nel cinema musicale indiano, in Ammore e malavita la narrazione è volutamente esagerata e pop, a partire dalla trama, dichiaratamente ispirata ai film di 007, fino alle interpretazioni caricaturali e sopra le righe degli attori. È qui che si inseriscono le canzoni, che, come a Bollywood e nel musical classico, servono a sottolineare le emozioni dei personaggi interrompendo il racconto (altra differenza da La La Land, dove le canzoni avevano spesso una funzione narrativa).

Ammore e malavita


Il tutto ha un’ovvia intenzione parodica (tanto del musical che del contemporaneo gangster movie), ma quello in cui riescono i Manetti, inaspettatamente, è non cadere mai ridicolo. Grazie anche agli interpreti (Morelli perfettamente in parte e Gerini mai così brava), i personaggi sono sì caricature stereotipate di una certa Napoli più o meno immaginaria, ma non si riducono mai a macchiette. Il loro essere personaggi veri permette allo spettatore di godersi anche l’impianto thriller del film, che, nella sua semplicità, funziona e coinvolge. Dopotutto i due registi buttano dentro tutti gli ingredienti che hanno garantito il successo al nuovo crime cinema: amore e morte, onore e tradimento, e tanta action.

L’altro evidente punto di riferimento del film è la sceneggiata napoletana, di cui riprende almeno in parte struttura e spirito. Questo insieme di pezzi di intrattenimento pop (serialità sulla criminalità, James Bond, musical e Bollywood, la sceneggiata) che costituisce le fondamenta del film, fanno di Ammore e malavita un’opera molteplice e ben più ricca di quanto possa sembrare. I Manetti si divertono a mescolare tutti i loro riferimenti culturali, riuscendo comunque a mantenere il loro caratteristico tocco grazie a una costruzione visiva piacevolmente grezza che perfettamente si adatta a ciò che raccontano.

Difficilmente, anche a essere ottimisti, Ammore e malavita vincerà un Leone. Eppure, se probabilmente non è il miglior film in concorso, è indubbiamente il più geniale, capace com’è di intrattenere scherzando con se stesso, e un riconoscimento lo meriterebbe. Tra i membri della giuria, chi potrebbe apprezzarlo fino in fondo è il regista britannico Edgar Wright, altro autore che si muove da sempre tra il genere e la parodia (La notte dei morti dementi, Hot Fuzz), e si può sperare che riesca a spingere almeno per una menzione, il minimo per questo “elefante in una galleria d’arte”, come gli stessi Manetti hanno commentato la loro presenza alla Mostra.


Scritto da Marcello Bonini


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