di Guillermo Del Toro - USA, 119' | Scheda del film
con Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer
https://www.youtube.com/watch?v=XFYWazblaUA
La prima cosa che Guillermo Del Toro ha detto alla conferenza stampa di The Shape of Water, il suo nuovo lungometraggio in concorso quest’anno a Venezia, è stata: “Il fantastico è un genere politico”. Da queste poche parole si capisce molto della poetica del regista messicano. Amatissimo da pubblico e critica (come si è potuto constatare al Lido, dove ogni suo spostamento è stato accompagnato da scroscianti applausi), si può tranquillamente considerare uno dei più grandi registi di genere viventi.
In carriera ha spesso messo la sua immaginazione al servizio di film commerciali e poco complessi dal punto di vista ideologico (Mimic, i due Hellboy, Blade II, Pacific Rim), ma come tutti i grandi autori horror hanno fatto prima di lui, quando ha potuto lavorare a progetti personali ha sempre sfruttato la sua capacità di creare mondi oscuri per raccontare (anche) molto altro. Basta guardare i suoi due film migliori, entrambi ambientati durante la guerra civile spagnola: non è una scelta fine a se stessa, ma la base su cui fondare sia La spina del diavolo che Il labirinto del fauno, racconti dove l’orrore di mostri e fantasmi è la concretizzazione degli orrori reali della guerra e del fascismo. Pur meno espliciti, anche gli altri suoi film sono intrisi degli ideali di Del Toro. Dopotutto la politica non è solo una questione di meri schieramenti di parte, ma nella sua forma più altra è un elemento sociale, che riguarda ogni aspetto della vita collettiva.
Partendo da questo presupposto si può capire quanto certi autori di genere abbiano impregnato di politica il loro cinema: Romero, Cronenberg, Carpenter e tanti altri hanno dimostrato che è la critica sociale, ancorché nascosta, talvolta addirittura subliminale, il cuore del miglior cinema fantastico. Del Toro, il cui cinema vive fagocitando altro cinema, ha imparato benissimo questa lezione, e anche in film in apparenza più banali come Cronos e Crimson Peak ha saputo riflettere con molta intelligenza sugli aspetti più importanti della vita umana: il tempo, la vecchiaia, la morte, la colpa.
The Shape of Water non è da meno, anzi, sotto l’apparenza di una storia d’amore che rivisita La bella e la bestia si agita un ricchissimo coacervo di spunti, istanze, osservazioni. Elisa (una straordinaria Sally Hawkins, già in lizza per la Coppa Volpi) è una donna muta che lavora come donna delle pulizie in un laboratorio militare. Qui scopre che stanno studiando una creatura acquatica umanoide, con la quale riesce, di nascosto, a instaurare un bellissimo rapporto, nonostante a capo del progetto vi sia un militare che vuole la morte dell’essere.
Il titolo, “La forma dell’acqua”, è una perfetta descrizione della struttura del film. La trama è come la superficie del mare, splendida ma apparentemente piana, sotto la quale, però, vive un intero mondo che bisogna voler andare a cercare, per vederlo. La storia è bella nella sua semplicità, ma cela i tanti temi che Del Toro ha saputo affrontare: il linguaggio, il razzismo, l’omofobia, la violenza (e con un coraggio non indifferente mette sullo stesso piano KGB ed esercito statunitense).
The Shape of Water si può allora vedere su due piani, come una bella e semplice storia d’amore tra diversi, o come la rappresentazione fantastica, ma verissima, degli Stati Uniti e di tutto il mondo, una realtà dove la fantasia è l’unica arma contro il vero orrore, fil rouge che collega tutto il cinema di Del Toro. Ma non è una fantasia infantile, ingenua; quella di Del Toro è una fantasia duramente concreta, a volte brutale, fatta di sangue, sesso, morte. Se il mondo è violento, il suo contraltare immaginario non può essere diverso, pur connotando diversamente quella violenza che lo scuote. Questa riflessione era il fulcro de Il labirinto del fauno, fin qui il capolavoro del regista, ma è l’idea da cui nasce anche questa sua ultima opera. Che non è il miglior film del messicano, probabilmente non è nemmeno un film grandioso, ma la cosa straordinaria è proprio questa: nonostante in esso tutto sia ben fatto ma niente è eccezionale, funziona alla perfezione, in ogni suo aspetto.
Nulla è fuori posto, The Shape of Water è un meccanismo impeccabile che spaventa, commuove, conquista. Questo è possibile perché Del Toro, come pochissimi altri, sa essere contemporaneamente autore e artigiano. Basta guardare la sua filmografia per capire come sappia muoversi tra queste due dimensioni così spesso messe in contrapposizione, e che in The Shape of Water arrivano definitivamente a coincidere. È in fondo un film di mestiere, che sfrutta le capacità tecniche di tutti i suoi realizzatori, ma è un mestiere fondato sull’immaginazione del suo regista, inconfondibile in ogni suo aspetto. Non c’è un fotogramma su cui non sia impresso a chiare lettere il nome di Guillermo Del Toro. Con questo suo nuovo film il messicano aggiunge un ulteriore tassello al suo visionario universo dark.
Difficilmente potrà vincere uno dei premi principali, diverso com’è da tutto quello che deve essere il vincitore di un festival come quello di Venezia. Nonostante questo, però, alla sua presentazione ufficiale il pubblico del Lido ha tributato a questa fiaba sulla diversità (per l’appunto) una standing ovation di diversi minuti, giusto riconoscimento allo splendido lavoro fatto da Del Toro, che tra alti e bassi da anni porta avanti con assoluta coerenza un cinema di genere intelligente e appassionante, fatto di talento artigianale e genio artistico.
Scritto da Marcello Bonini
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