All'interno del Festival di I.TA.CÀ. – Festival del Turismo responsabile, che da questa edizione riserva uno spazio interamente dedicato alla fotografia, sarà presente la mostra "The Paris Flood – L'inondazione di Parigi" di Livio Morabito, a cura di TerzoTropico, Qr Photogallery e Witness Journal.
La mostra inaugurerà venerdì 25 maggio 2018 alle ore 18.00 presso Qr Photogallery | Ex Ospedale Roncati, in via Sant'Isaia, 90. Sarà aperta al pubblico fino al 17 giugno.
Tarantino d'origine ma parigino d'adozione, Livio Morabito è un artista poliedrico: ritrattista, fotografo di moda, street photographer, e occhio critico sul contemporaneo. Nel giugno del 2016 il suo obiettivo ha immortalato l'inondazione della Senna, quando il livello delle acque ha raggiunto i sei metri e mezzo d'altezza, prospettando tragici scenari, che non si verificavano da più di trent'anni.
Le fotografie di Livio raccontano questi scenari, ma privilegiando l'aspetto "onirico, etereo" di "questa Parigi attonita di fronte al disastro".
Per l'occasione la nostra redazione ha posto alcune domande a Livio Morabito, per comprendere meglio il suo lavoro e per confrontarci su salvaguardia ambientale, responsabilità ed etica della sostenibilità, fino a ritrovarci a parlare dei nessi irrisolti tra scuola, cultura e inquinamento.
Flash Giovani: Sul tuo sito ti definisci un fotografo di moda/ ritrattista; hai voglia di raccontarci come ti sei trovato a "ritrarre" questa Parigi?
Livio Morabito: Erano i giorni della più grande piena della Senna dopo decenni. I danni provocati erano già ingenti e il livello dell'acqua continuava a salire pericolosamente. Al contempo, la gente osservava come se fosse un’attrazione: scattava foto, selfie, video. Così, mi è venuta l'idea di dare un effetto onirico, etereo, a questa Parigi attonita di fronte al disastro, utilizzando la tecnica della lunga esposizione.
FG: Le tue fotografie ci mettono di fronte a uno scenario inusuale, dove l'abitudine e la familiarità dei luoghi sono sospese e sembrano invece dare spazio alla forza della natura, invitandoci a "capovolgere lo sguardo". C'è secondo te nel tuo lavoro una riflessione o una problematizzazione del rapporto uomo-natura?
LM: Le piogge torrenziali e le ricorrenti alluvioni sono fenomeni che ormai ciclicamente si ripetono e sono diventati parte del nostro difficile presente. Sembra che la natura voglia riappropriarsi di quello che è la sua quintessenza, il suo ruolo di padrona di casa: la sua stessa sovranità sull'uomo. Noi non siamo altro che non troppo graditi ospiti - a questo punto - a casa sua.
FG: Il tuo occhio sembra catturare un ambiente estemporaneo, dove il fatto di cronaca si dissolve e lascia campo a sentimenti di abbandono e desolazione, restituendo un paesaggio pur sempre mite e placido. Come è stato vivere invece l'inondazione dietro la macchina fotografica?
LM: Se pensiamo che una foto può riuscire a catturare un'immagine che si svolge nell'arco di 1/4000 di secondo ed ha la capacità di fermare il tempo in quell'istante, di rendere l'immagine stessa immortale, statica, Paris Flood vuole invece rendere vive le immagini di questa Parigi piegata, sottomessa al suo destino inesorabile, che la obbliga a rinunciare al ruolo di prima donna alla quale è abituata, per ritornarlo ad una Senna che lo rivendica, che rivendica il suo letto originario, il suo ruolo di madre dalla quale è nata Parigi stessa e senza la quale, nulla oggi sarebbe così com'è. Ed è dalla stessa Senna, dalla sua forza generatrice che la città trae forza e si rialza, perché Parigi "fluctuat nec mergitur": in balia delle onde, ma non affonda.
FG: Questo lavoro si inserisce all'interno del Festival I.TA.CÀ.: come pensi che possa realizzarsi un rapporto di responsabilità e sostenibilità nei confronti dei luoghi che viviamo e attraversiamo?
LM: Su questo punto, sono irremovibilmente dell'idea che tutto parta dalla scuola: la scuola di oggi, pur vivendo le emergenze che tutti sappiamo, non è ancora pronta a livello educativo e culturale a creare nuove coscienze. Lavoro che doveva essere cominciato già cinquant'anni fa da una scuola e da una società che avrebbero dovuto essere lungimiranti, proprio per evitare che oggi il pianeta ci presentasse il conto del nostro immenso egoismo, senza poter più riparare ai danni fatti. Perché i danni irreparabili ci sono. Non sono sotto gli occhi di tutti, ma sono reali. E nessuno ne parla o quasi.
FG: La tua base operativa è Parigi, ma migri da una città molto problematica dal punto di vista ambientale: Taranto, dove ASviS, che collabora con I.TA.CÀ., ha di recente presentato un report dal titolo "Il disastro ambientale e umano dell'Ilva di Taranto". Quanto ha influito questo "disastro" sulla tua biografia e, ancora una volta, dove risiedono le responsabilità a riguardo?
LM: Le responsabilità risiedono in ognuno di noi. Nessuno è senza peccato sotto questo punto di vista: dal bambino che non viene educato a non gettare la carta per terra, al marito che, in attesa che la moglie scenda, lascia inutilmente il motore della macchina acceso e via dicendo. Dobbiamo assolutamente creare nuove coscienze che mirino a forme d'investimento nella salvaguardia dell'ambiente e che durino nel tempo. Che non cerchino risultati nell'immediato, ma che ci permettano, veramente, di lasciare un mondo meno inquinato di adesso ai nostri figli. L'Ilva mi ha messo di fronte alla morte di amici, di persone a me care. Taranto vive, in percentuale molto più elevata rispetto ad altre città, le conseguenze dell'uso spregiudicato ed irresponsabile di tecnologie che possono essere gestite in maniera diversa, ma con ritorni in termini economici inferiori ed in termini sanitari di gran lunga superiori. Dobbiamo imparare che la vita non ha prezzo, mentre invece l'acciaio sì. Noi, che invece abbiamo talmente deprezzato la vita, che oggi un tubo d'acciaio vale più della vita di un uomo. A Taranto, la vita stessa, è il prezzo da pagare per poter vivere... Ma quella che sembra una realtà del tutto tarantina, è invece la realtà di tutto il nostro pianeta.
Claudia Razzato e Arianna Mastriforti
Livio Morabito