Un gioco da ragazze: intervista ad Alessandra Campedelli

Nazionale sorde di pallavolo

Alessandra Campedelli è un'ex atleta azzurra e attuale allenatrice della BluVolley Calzedonia di Verona maschile e della Nazionale sorde di pallavolo. Lo scorso 4 dicembre è stata ospite presso la Casa delle donne di Bologna in occasione di Taci anzi parla, la tredicesima edizione del festival La violenza illustrata

Lo sport e i suoi valori sono una parte essenziale della vita di Alessandra e dei suoi figli. Le abbiamo domandato quanto è importate lo sport nei processi di crescita e inclusione sociale e quali difficoltà ha incontrato durante la sua carriera da allenatrice. Ecco cosa ci ha raccontato: 

  • Durante la carriera da allenatrice, ha incontrato ostacoli legati al fatto di essere una donna?

Di ostacoli ce ne sono stati e ne permangono indubbiamente più d’uno, ma non mi hanno mai spaventata, anzi sono sempre stati uno stimolo. In più occasioni è capitato che alcuni colleghi (mai gli atleti) cercassero di mettere alla prova la mia competenza con incredulità e pregiudizio. Ho vissuto situazioni spiacevoli, come l’imbarazzo nel fare parte di alcuni staff che utilizzavano linguaggi pesanti e sessisti rispetto al mondo femminile e l’essere catalogata come asociale quando preferivo starmene alla larga. Un altro ostacolo è dover dimostrare costantemente quanto valgo e quanto sono competente, ricevendo pochi riconoscimenti da parte dei colleghi uomini. Per farvi capire, quando ottengo risultati, secondo loro, è perché sono fortunata e quando fallisco, invece, è "normale". Ho incontrato e incontro tutt'ora invidia e paura nei miei confronti, sentimenti che a chi, come me, chiede solo di poter lavorare con serenità, fanno male. Perché? Forse proprio perché sono donna. E per ultima, ma chiaramente non per importanza, la difficoltà nel conciliare la vita famigliare, il mio lavoro di insegnante alle scuole medie e la pallavolo, che è la mia passione. Ma allenare è una scelta, e quando il piatto della bilancia penderà a favore di ostacoli e difficoltà rispetto all’energia, all’entusiasmo e soprattutto alle soddisfazioni umane, impiegherò sicuramente il mio tempo in maniera diversa. 

  • Ha riscontrato nella sua esperienza differenze e difficoltà nell’allenare una squadra femminile e una maschile?

Sì, ho riscontrato differenze più che difficoltà. Certamente il motivo non è, come spesso si sente dire, che i ragazzi non sono disponibili ad imparare la tecnica. Tra una squadra maschile e una femminile è la reazione di fronte alle difficoltà che si incontrano ad essere differente. La propensione a dire e mostrare ciò che si pensa, a mostrare empatia, intuizione, flessibilità, autocontrollo. Una maggiore propensione all’ansia e alla paura di sbagliare è tipica di una squadra femminile e molto meno di una maschile. Ragazzi e ragazze affrontano le situazioni, le difficoltà personali e di squadra in maniera globalmente diversa perché percepiscono il mondo in maniera diversa attribuendo differenti significati e importanza a sguardi, parole, eventi. Hanno giudizi morali spesso molto divergenti: i ragazzi sono più assoluti, le ragazze molto legate al sentimento e alla situazione. La differenza sostanziale, oltre a quella tecnico/metodologica legata alle differenti qualità fisiche, è la gestione dello spogliatoio!

  • Considera lo sport un’attività che agevola l’inclusione sociale di giovani con disagi e disabilità?

Considero lo sport un importante veicolo di valori sociali che dovrebbe avere un ruolo protagonista nelle azioni di inclusione sociale per tutti e tutte, con e senza disabilità. Lo sport, se condotto con saggezza e consapevolezza, è mediatore di valori, portatore di entusiasmo ed energia, seme per la costruzione di autostima e di un’identità positiva. La palestra è uno dei pochi luoghi in cui ragazzi e ragazze possono ancora sperimentare e costruire la resilienza, la fatica, il sacrificio, in cui possono far evolvere l’intelligenza emotiva e dar vita reale a tanti valori come il senso di responsabilità nei confronti di se stessi e dell’altro.

  • Su quali valori si fonda lo sport e cosa può insegnare ai giovani?

Ho praticato sport fin dalla tenera età. Ho deciso di fare dello sport una parte integrante della mia vita e di quella dei miei figli. Credo nei valori che lo sport, se proposto con sapienza, saggezza e competenza, può trasmettere ai giovani. Credo che l’attività sportiva rappresenti un prioritario veicolo per promuovere la costruzione di competenze che io stessa ho sviluppato nel tempo e che per ogni ragazzo possono rappresentare punti di forza e abilità spendibili poi nella vita: affrontare e risolvere in modo costruttivo i problemi quotidiani; osservare la situazione in modo analitico, esplorando le possibili alternative e trovando soluzioni originali; esprimersi in modo appropriato alla situazione e all’interlocutore, sia a livello verbale sia a livello non verbale; riconoscere, discriminare, condividere le emozioni degli altri; riconoscere e regolare le proprie emozioni e gli stati di tensione; poter organizzare efficacemente una serie di azioni necessarie a fronteggiare nuove situazioni, prove e sfide; imparare a far parte di un gruppo sperimentando la capacità di realizzare obiettivi comuni. È tenendo ben presenti questi obiettivi che ho sempre svolto e svolgo la mia attività di allenatrice sia con i ragazzi e le ragazze, sia con le ragazze sorde. 


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